REVERSE CHARGE E OPERAZIONI INESISTENTI. SANZIONE RIDOTTA APPLICABILE SOLO IN CASO DI OPERAZIONI ASTRATTAMENTE NON SOGGETTE A IVA.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22727 del 20 luglio 2022, si sono pronunciate su una questione di massima importanza in materia tributaria, dirimendo il contrasto giurisprudenziale formatosi negli ultimi anni.

Le S.U., con la menzionata pronucia, hanno precisato che la neutralizzazione dell’IVA a credito e di quella a debito nell’ipotesi di inversione contabile prevista dalla prima parte dell’art. 6, comma 9-bis.3, del d.lgs. n. 471/1997 riguardi esclusivamente le operazioni inesistenti che siano astrattamente “esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta”, e non anche le operazioni inesistenti astrattamente imponibili per le quali non è ammesso il diritto a detrazione. Infatti, per queste ultime l’azione di forte contrasto all’evasione e alle frodi, di matrice eurounitaria, non può che essere perseguita dall’ordinamento per il tramite delle sanzioni previste dall’attuale art. 6, comma 1, del d.lgs. n.471/1997, con il quale il legislatore ha inteso fortemente osteggiare le condotte integranti operazioni (non esenti o imponibili) inesistenti, destinate potenzialmente a prestarsi ad intenti frodatori ed evasivi, mancando per tali operazioni i requisiti sostanziali previsti per il riconoscimento del diritto alla detrazione.

Esclude la correttezza dell’interpretazione estensiva – più favorevole al contribuente -, del comma 9-bis.3 il fatto che essa andrebbe a creare un vulnus al sistema di protezione che l’ordinamento ha inteso riconoscere con l’apprestamento di misure proporzionate e dissuasive rispetto alle frodi in tema di IVA, che trovano nelle operazioni inesistenti un non marginale fattore di innesco, costituendo la lotta contro la frode, l’evasione fiscale ed eventuali abusi un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla VI direttiva IVA.

Pertanto, la seconda parte dell’art. 6, comma 9-bis.3 non può che riferirsi alle operazioni inesistenti esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, ma non anche a quelle imponibili inesistenti perché, se così non fosse si consentirebbe la detrazione dell’IVA in assenza dei presupposti sostanziali richiesti, fra i quali l’individuazione del soggetto passivo (non reale – nelle operazioni soggettivamente inesistenti – e non esistente – in quelle oggettivamente inesistenti -), che invece assume carattere dirimente al fine di ammettere od escludere il diritto alla detrazione.

La norma applicabile in caso di trasgressione del sistema dell’inversione contabile per le operazioni inesistenti rimane dunque quella contemplata dall’art. 6, comma 1, d.lgs.n.471/1997, concernente la condotta di colui che – in qualità di cedente o cessionario – “viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati” e “…indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta”, al quale si applica la sanzione dal 100 al 200 per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio antecedente al 2015 (ora dal 90 al 180 per cento, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 15 d.lgs. n.158/2015).

In questo senso, la sanzione prevista in generale per chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati a carico del soggetto che abbia utilizzato operazioni inesistenti utilizzando indebitamente il diritto alla detrazione per le ipotesi, regolate dal sistema di inversione contabile interno, di operazioni inesistenti non esenti, imponibili e soggette ad IVA appare pienamente in linea con il test di proporzionalità, adeguatezza e neutralità dell’IVA che sorregge il sistema sanzionatorio secondo i principi fissati dalla Corte di giustizia.

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