Le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, con la sentenza del 24 maggio 2023, n. 14432, pronunciandosi in tema di responsabilità fiscale del notaio a titolo di imposta di registro, hanno affermato che “qualora in un atto notarile, anche registrato telematicamente, vengano enunciate disposizioni di altri atti, scritti o verbali, posti in essere dalle medesime parti, ma non già registrati, la cui configurazione giuridica non richiede accertamenti di fatto ovvero extratestuali né valutazioni interpretative particolarmente complesse, purchè, trattandosi di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso, gli effetti dei medesimi non siano già cessati o cessino con l’atto che li enuncia, l’imposta dovuta per tali atti in virtù della previsione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, deve qualificarsi come imposta principale e, per richiederla in rettifica dell’autoliquidazione, l’Ente impositore può legittimamente emettere un avviso di liquidazione ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 42, comma 1, primo periodo, e D.Lgs. n. 463 del 1997, 3 ter, comma 1; in tal caso, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1, il notaio che ha ricevuto l’atto enunciante, pur in via dipendente, è responsabile per il pagamento dell’imposta solidalmente con le parti dell’atto stesso”.
La pronuncia trae origine dal ricorso presentato da un notaio risultato destinatario di un avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate, con il quale l’Ufficio pretendeva, in virtù di quanto disposto dall’art. 22 del TUR (Enunciazione di atti non registrati), il pagamento dell’imposta di registro proporzionale in relazione alla “enunciazione”, nell’atto rogato costituito da un verbale di assemblea straordinaria societaria, registrato telematicamente, del contratto di finanziamento infruttifero del socio alla società e della remissione parziale del correlativo debito, contestualmente imputato a sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte del medesimo socio.
La Corte ha ribadito, in primo luogo, che al notaio va attribuita la qualifica di “responsabile di imposta”, e che tale qualifica determina il sorgere di una situazione giuridica soggettiva passiva, ingenerante una obbligazione solidale “dipendente”, che trova fondamento nel profilo di garanzia ordinamentale della funzione pubblica notarile, che mira ad assicurare la riscossione dei crediti fiscali originati dall’esercizio della stessa. Il notaio, dunque, ricopre, con riferimento agli atti che redige, riceve o autentica, il ruolo di “fideiussore ex lege”, ed è perciò responsabile in solido con le parti per il pagamento dell’imposta principale, come definita dall’art. 42, comma 1, TUR, rimanendo invece espressamente escluse quella complementare e quella suppletiva (cfr. art. 42, comma 1, TUR).
In secondo luogo, la Corte ha affrontato la questione pregiudiziale, rispetto alla soluzione del caso sottoposto a decisione, relativa alla valutazione dei presupposti per l’applicabilità del menzionato art. 22, TUR. Sul punto, le S.U. si riportano al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’art. 22, TUR, pone tre presupposti per la sua applicabilità: i) l’autonomia giuridica oggettuale dell'”enunciazione”, ovverosia delle disposizioni enunciate, ii) l’identità delle parti dell’atto “enunciante” e dell’atto “enunciato”, iii) la permanenza degli effetti di quest’ultimo.
Ebbene, con riferimento alla sussistenza di tali profili nel caso di specie, la Corte ha sottolineato che gli atti emersi nel rogito (c.d. atti enunciati) avevano una forma e un contenuto del tutto chiari, e che pertanto la loro enunciazione doveva considerarsi giuridicamente autonoma ed anche autosufficiente. Tali atti risultavano dunque apprezzabili ab intrinseco, senza ulteriori accertamenti di fatto o comunque extratestuali nè valutazioni di particolare complessità giuridica. Inoltre, la Corte ha evidenziato che non potevano considerarsi cessati gli effetti degli atti enunciati, posto che, da un lato, il finanziamento del socio all’esito dell’assemblea societaria risultava valido ed efficace de residuo, e, da un altro lato, proprio nell’assemblea stessa si erano realizzati gli effetti della rinuncia parziale al correlativo credito restitutorio del socio finanziatore.
Alla luce di dette caratteristiche oggettive degli atti “enunciati”, la Corte di cassazione ha affermato che l’atto impositivo estrinseca una pretesa creditoria che, di per sè, deve essere ascritta alla categoria dell’imposta di registro “principale”.
In secondo luogo, ha evidenziato che le parti dell’atto enunciante e dell’atto enunciato devono considerarsi le medesime, ossia la società ed i suoi soci nell’uno e nell’altro caso, dovendosi in questo particolare contesto impositivo attribuire al termine “parte”, utilizzato dall’art. 22, TUR, un significato lato e sostanziale.
In ordine a tale profilo, le S.U. hanno confermato l’indirizzo giurisprudenziale, riaffermato di recente, secondo cui il dato normativo letterale “parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione” debba essere interpretato nel senso lato e non “contrattualistico”, di soggetti rispetto ai quali si realizzano gli effetti degli atti contenuti nell’atto di “emersione”, sicchè deve essere affermato che la presenza dei soci in assemblea giuridicamente “contiene” la loro, anche individuale, qualità di “parte” degli atti “enunciati”.
Dopo aver affermato la piena sussistenza dei presupposti giuridici per la tassazione degli atti enunciati, le S.U. hanno affrontato il profilo relativo alla contestazione la responsabilità fiscale del ricorrente, quale notaio che rogante l’atto “enunciante”.
Sul punto, atteso che la responsabilità d’imposta del notaio è fondata sull’art. 57, TUR, che limita la stessa all’imposta di registro “principale”, escludendo quella “supletiva” e quella “complementare”, risulta dirimente la qualificazione in concreto dell’imposta pretesa con l’atto impositivo.
Orbene, la Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, la pretesa creditoria erariale fossa da intendere a titolo di imposta “principale” di registro. Sottolinea, infatti, che al notaio è stata richiesta, nè più nè meno (al netto delle sanzioni), la medesima imposta principale che le parti degli atti “enunciati” avrebbero dovuto e devono versare per la registrazione degli stessi e che il notaio medesimo, quale responsabile d’imposta, avrebbe dovuto autoliquidare e versare.
La Corte ha puntualizzato che quanto affermato non si pone in contrasto con la natura dell’imposta di registro quale “imposta d’ atto”. In questa fattispecie impositiva complessa, infatti, ogni singolo atto (enunciante/enunciato) è separatamente ed individualmente soggetto ad imposta, secondo la logica, anche costituzionale, della tipologia fiscale che titola le pretese fiscali azionate ossia quella dell'”imposta d’atto”.
Nemmeno ha ritenuto decisivo l’argomento desunto dalla L. 147 del 2013, art. 1, comma 63, lett. a), che disciplina gli obblighi di versamento dei notai. La corretta ricostruzione della fattispecie impositiva/obbligatoria induce, secondo la Corte, ad affermare che, qualora debba rogare atti enunciativi di atti “chiari ed autosufficienti” ossia desumibili ex se nella loro ontologia giuridica, il notaio, per sua cautela, dovrà/potrà richiedere alle parti del rogito il previo versamento dell’ imposta di registro “principale” sia in relazione all’atto enunciante sia in relazione all’atto eventualmente enunciato, ben potendo il notaio medesimo in caso di mancato riscontro positivo di tale richiesta rifiutare il proprio ministero in virtù della L. 89 del 1913, art. 28, comma 4.
Alla stregua di tali argomentazioni, le S.U. della Corte di cassazione, enunciando il principio di diritto sopra riportato, hanno rigettato il ricorso del notaio, rispetto al quale è stata confermata l’obbligazione di rispondere in solido con le parti per il pagamento dell’imposta di registro riferibile agli “atti enunciati” nell’atto rogato, e ciò, per le ragioni sopra richiamate, anche se il notaio rogante non aveva prestato, con riferimento agli atti “enunciati”, il proprio ministero, avendo solo provveduto a “formalizzarli”, ovverosia a riceverli nell’atto rogato, e nonostante che tali atti enunciati, oggetto della ripresa fiscale, non erano scritti, ma verbali, per i quali non era richiesta dalla legge la forma scritta ab substantiam.