La Corte di Cassazione, seconda sezione penale, con sentenza del 29 novembre 2022, n.45272, ha affermato che, allorquando la persona sottoposta ad indagini si presenti spontaneamente al pubblico ministero al fine di rilasciare dichiarazioni, l’atto può valere come interrogatorio ed è utilizzabile in sede procedimentale e nella fase cautelare solo se:
– il fatto di reato attribuito è contestato in modo chiaro e preciso, con l’enunciazione degli elementi di prova a carico e l’indicazione delle fonti, se non può derivarne pregiudizio per le indagini;
– le dichiarazioni spontanee si limitino ad esporre elementi a discarico o quant’altro utile per la difesa del dichiarante stesso;
– le dichiarazioni in parola siano precedute dagli avvertimenti di cui all’art. 64, comma 3, cod. proc. pen. e dalla contestuale nomina ed assistenza di un difensore di fiducia o, in mancanza, d’ufficio, con avviso allo stesso del compimento dell’atto almeno ventiquattro ore prima.
Nel caso di specie, il pubblico ministero procedeva ad una sorta di “ibrido”, in quanto alla contestazione del fatto e agli avvertimenti di cui agli artt. 64 e 65 cod. proc. pen. non era stata fatta seguire la nomina del difensore con l’avviso a quest’ultimo del giorno e del luogo dell’acquisizione delle dichiarazioni almeno ventiquattro ore prima. Si era dunque del tutto ingiustificatamente rimesso al giudice il compito di qualificare l’atto, o come interrogatorio ai sensi del secondo comma dell’art. 374 cod. proc. pen., ovvero come verbale di spontanee dichiarazioni ai sensi del primo comma della medesima disposizione normativa. Sottolinea la Corte che una simile “alternità” discrezionale non fa parte del sistema ed hanno determinato una palese violazione di legge.